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 << I film della Pollanet Squad (POLIZIESCO) >> 
La orca (1976)  
Con
Michele Placido
Michele Turrisi

Rena Niehaus
Alice Valerio

Flavio Bucci
Paolo

Bruno Corazzari
Gino Ramanzini

Adriano Amidei Migliano
Sequestratore

Anna Canzi
Proprietaria del bar

Livia Cerini
Amante di Paolo

Vittorio Mezzogiorno
Commissario di Polizia






Pavia. Una banda di delinquenti discretamente male in arnese rapisce a scopo di estorsione la giovane e avvenente figlia di un facoltoso uomo d’affari, con esiti prevedibilmente disastrosi. Sulla base di un plot abbastanza classico del cinema poliziesco, però, il buon Eriprando Visconti (parente, parente...) confeziona un film un po’ statico e lento, con poche e brevi scene di azione ma egualmente molto appetibile, se non altro per il fatto di essere senza dubbio la pellicola più osèe di tutto il genere. Alla riuscita del film contribuisce in prima battuta un cast abbastanza stravagante ma comunque valido, a partire da Bruno Corazzari, vecchia conoscenza del cinema poliziesco (il killer di Scavino de La polizia incrimina, la legge assolve) che qui interpreta Gino, “contatto” della banda con gli organizzatori del sequestro ma nel privato uomo rovinato dal biliardo di cui è giocatore incallito e sistematico perdente. Segue Flavio Bucci nel ruolo di Paolo, vero e proprio schiantatope dell’Oltrepò pavese, molto ben calato nel ruolo drammatico e decadente di un malvivente che nasconde le sue attività criminose sotto la copertura di un mestiere di riparatore di biliardini elettrici, e per il resto costretto a barcamenarsi tra un cospicuo numero di relazioni clandestine ufficiali e non. Ma i protagonisti principali sono la Orca, nei panni di Rena Niehaus (Alice), procace e disinibita biondona che impiega pochissime scene per fare ingrifare gli spettatori e, ovviamente, un giovane e ingenuo Michele Placido (Michele Turrisi), carceriere emigrante dal meridione che si ritrova inaspettatamente come ostaggio una femmina, e che femmina. Numerose, infatti, sono le sequenze che indagano sugli aspetti più intimi e proibiti della ragazzotta tedesca, con una dovizia di particolari e scene scabrose che difficilmente avranno lasciato impassibile la fredda moralità degli organi preposti al controllo della produzione cinematografica e cioè, in parole povere, la censura. Paradossalmente però, nonostante la tanta carne messa al fuoco (ma sarebbe più appropriato dire all’acqua, visto che una delle scene madri vede la prosperosa attrice tedesca alle prese con un languido bagno sotto gli occhi vogliosi di Michele Placido, che ostenta indifferenza sbrufolandosi nervosamente un braccio), il film cerca insistemente di cogliere l’aspetto psicologico della vicenda, con il povero Michele che progressivamente viene sopraffatto da una sorta di sindrome di Stoccolma alla rovescia, solidarizzando cioè con la vittima e discostandosi dal suo ruolo naturale di carnefice. L’intera organizzazione viene in poco tempo sgominata, grazie alle capacità investigative di Vittorio Mezzogiorno (il commissario) e alla orrenda serie di cappelle compiute dai rapitori, mentre il finale a sorpresa prepara il sequel (Oedipus Orca) in cui viene abbandonato il flebile trait d’union con il cinema poliziesco.



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